2007
I temi che ritroviamo scorrendo la produzione di Maria Pina la Marca sono tanti ma nascono da una costante, ovvero dall’attenzione al farsi dell’emozione, dall’osservazione lucida di un perdersi nell’emozione (singolare ossimoro del perdersi lucido che da solo ha una enorme pregnanza poetica). Di solito è un percorso che prende avvio da una immagine, da una congiuntura anche quotidiana e banale e si fa riflessione attenta sul proprio sentire, su di sé, altre volte è l’osservazione del proprio animo che per dirsi cerca il correlativo di una immagine naturale, ma la forza descrittiva in entrambi i casi resta la ricchezza di questa poetessa.
In copertina: Muci, foto dell’Autrice
Libreria al Segno Editrice, Pordenone
Anni fa, attratta da una locandina che invitava a un corso-laboratorio gratuito, patrocinato dal Comune di Pordenone, Alla scoperta dei materiali: il legno, presso il Palazzo Ricchieri (Museo Civico d’arte della città), mi iscrissi subito. Dopo la dotta prolusione del direttore dottor Gilberto Ganzer, le conduttrici Loredana Gazzola Scaramuzza e Barbara Bortolus, spiegarono quale sarebbe stato il nostro viaggio attraverso la materia legno, approfittando anche delle pregevoli opere lignee presenti nel museo.
Nessun problema per me, gli scritti. Panico totale invece per la parte creativa materiale, per l’invenzione e la costruzione di un oggetto, da costruire utilizzando la quantità e la varietà dei materiali messi a disposizione: legnetti, perline, ferri e molto altro. Giravo fra i tavoli del laboratorio in cerca di ispirazione, di qualcosa che mi parlasse, proprio come quando scrivo, per farmi muovere, non la penna, ma le mani. Niente. La porta dell’immaginario era chiusa ermeticamente.
Guardavo le altre compagne d’avventura: dal nulla, nella alacre operosità femminile, nel silenzio, nel brusio, nella complicità dei sorrisi, vedevo creare opere d'arte, manufatti bellissimi! In essi c’era il gusto, la bellezza, l’espressione della creatività femminile. Per le loro mani passava, non vista, la storia di secoli e secoli, dai tempi lontanissimi dei primordi fino a noi. Io niente.
Poi mi sono lasciata andare e finalmente qualcosa ho partorito. Qualcosa di informe, diciamo pure bruttino, non chiaramente comprensibile. L’unica cosa bella era che potevo tirarmelo dietro su due ruote (o quattro, non ricordo esattamente) e aveva una specie di ali. Guardavo la mia creatura con l’affetto incondizionato e privo di giudizio delle madri. Provavo tenerezza e la consapevolezza che di più non potevo proprio fare. Ma potevo dargli un bel nome:
L’AQUILONE TERRESTRE!
E subito pensai di utilizzarlo come titolo per la mia successiva raccolta di poesie, che avrebbe parlato di animali, del cielo e della terra, reali e irreali, grandi e piccoli. Un microcosmo che mi porto dentro e vedo fuori di me. A differenza degli inizi, quando datavo le poesie, perché mi sembrava imprescindibile mettere un tassello come pietra miliare, poi non più.
Le poesie della raccolta, quasi un centinaio, non hanno data, ma sono raccolte in ordine cronologico. Le prime sono degli anni ’80, le ultime a ridosso della pubblicazione (2007).
Costituiscono un viaggio nel tempo, in un arco temporale di circa vent’anni, nel quale non le lancette ma gli animali (ANIMe con le ALI, i nostri fratelli maggiori) segnano il tempo. Dalle più cupe, brevissime, ma forse cariche di fardelli passati e di vite precedenti, a quelle più ariose.
Ma sempre, anche nei momenti più cupi, quando soffocavo la mia Anima, (lei) mi mandava messaggi di speranza, solari nelle immagini di rondini, gabbiani, usignoli, lucertole, allodole…
[…] I temi che ritroviamo scorrendo la produzione di Maria Pina la Marca sono tanti ma nascono da una costante, ovvero dall’attenzione al farsi dell’emozione, dall’osservazione lucida di un perdersi nell’emozione (singolare ossimoro del perdersi lucido che da solo ha una enorme pregnanza poetica). Di solito è un percorso che prende avvio da una immagine, da una congiuntura anche quotidiana e banale e si fa riflessione attenta sul proprio sentire, su di sé, altre volte è l’osservazione del proprio animo che per dirsi cerca il correlativo di una immagine naturale, ma la forza descrittiva in entrambi i casi resta la ricchezza di questa poetessa. […]
Premessa necessaria per arrivare a parlare degli animali.
Non è la prima opera sugli animali poetici, ma la presenza di altri riferimenti, anche lontanissimi, ci aiuta a trovare una ragione profonda. […]
L’animale assolve due funzioni in questo costante percorso di elaborazione poetica: da un lato è pretesto che sposta fuori d sé lo sguardo poetico, come deve esser in ogni scrittura che per parlare di una cosa deve parlare di altro, pena il silenzio e l’incomunicabilità di un corto circuito. Ma il percorso è fermato così a uno stadio poetabile e non rischia di prendere vie astratte e razionalistiche, ugualmente non comunicabili in versi: alla poeticità del sentire si sovrappone e aggiunge sostanza la poeticità dell’immagine. La seconda funzione, più peculiare forse allo scrivere di Maria Pina, è la focalizzazione della scrittura verso un’area ben precisa del vivere. La vita, è chiaro in ogni testo, è il centro della scrittura di questa autrice, la ricerca di un contatto con il pulsare delle cose, dei paesaggi, delle persone, ma l’animalità evoca una precisa area in questo vitalismo: la dimensione originale e preumana, quella in cui il vivere e il sentire, il nascere e il morire erano presenti nella loro essenzialità, senza ambiguità e nascondimenti. E non sai se questa identificazione sia alla fine una conquista, ricercata e voluta, di verità vitale, o un rifugio, goduto ma forse con qualche strascico di delusione, rispetto alla vita di noi bipedi pensanti, molto meno lineare e comprensibile. […]
…niente mi pare più adeguato di questo aquilone terrestre (e della storia che sta dietro al titolo) a dirci di una tensione verso l’altro e verso l’alto che si strugge e si consuma nell’autrice in questo ancoraggio femminile e ancestrale alla terra. La cifra, mi pare, di questa poesia che Maria Pina ci offre in questo maturo passaggio della sua vita e della sua scrittura, aprendo a noi il suo magico zoo.
Distesa / nascosta / bruciata / insonnolita / stanca / fradicia / triste / /
Un pinguino / deforme / si trascina / a tentoni / sulla terra / che scotta / /
Mi sono confusa nei tuoi sogni / di bianchi ippogrifi / mulinelli d’un fiume / sconosciuto / nel tramonto luminoso / /
Ti ho aspettato mentre i desideri / si scioglievano dissolvendosi / al sole d’una pietra arrugginita / /
Sono ricaduta in spirali d’amarezza / con la voce secca nell’ansa della gola / /
Ho voluto camminare / zigzagando sui cocci / d’un vetro senza più valore / brandelli di smerigliature / che ci feriscono ancora / /
Vedi la danza dell’impala / è concentrica / con strane volute / che aprono al cielo / /
Sempre / vola una rondine / a indicarmi la strada / /
Sempre / si affianca un’altra / a indicarmi la speranza / /
Dorme / una lucertola / sul melograno / accartocciata foglia / il suo giaciglio / fra i rossi lampioni / marrone fra i / marroni / dei fitti rametti / /
La bassa siepe / bombata / s’illumina dei ricchi / frutti / gelosi della propria / ricca intimità / /
Devo toccare / con curiosità infantile / questa zolla scura / farinosa / questi grappoli / di bacche / di rossi diversi / queste foglie / di alberi geometrici / questi fiori di pervinca / nei campi dissodati / /
Risuona / la poesia / di un nitrito / /
E ce ne sono ancora… Vi aspettano, nel libro, altri 90 animali…
Maria Pina la Marca ha già scritto poesia, e si vede.
La mano è ferma e la scelta stilistica ha una sua individualità ben precisa, anche sotto il profilo della scelta semantica e della collocazione versuale.
Ma in questa raccolta si aggiunge l’originalità della tematica, nel senso che l’autrice ha scelto di rendere protagonista il mondo animale e del creato in genere.
Ed ecco tutta una serie di animali, anche minimi, anche discreti, sempre amorosamente colti in situazioni di sofferenza o di gioia, di ilarità o di drammaticità, di quotidiano colore o di saltata individuazione. Perché è chiaro che l’autrice entra in ogni quadro con la sua disposizione al rilievo connotativo, al ripiegamento emozionale.
Animali molte volte come strumenti di meditazione, di riflessione, di comparazione, oppure come spunti per trasposizioni del proprio essere vicenda umana e memoriale, o per richiami a momenti colmi del sé che scende a immedesimazioni correlate. “Ti canto dei gatti in calore/la meraviglia/e di me/che non so amare”.
Un semplice rilievo: di fronte a un vero dilagare di conati poetici ad alta dequalificazione per eccesso di credute originalità, questa scrittura talvolta così nuda e declassata risulta una significativa operazione di umiltà espressiva”.
Gianni Di Fusco
Difficilmente capita tra le mani un volume di poesie così impensabilmente compatto e particolare! Io non conoscevo l’autrice né avevo mai letto nulla delle sue opere precedenti. Per cui L’aquilone terrestre è stato, lo confesso, una prima assoluta.
Sin dall’inizio sono rimasto come impaniato, prigioniero di quella lampada accesa da Maria Pina per attrarre risolutamente, affascinare il lettore e farlo volare con lei.
Ardimentoso il viaggio, dall’alto dell’aquilone si spalanca una prospettiva e un paesaggio che non ha uguali. Di avventura in avventura, tra immagini e luci e suoni e illusioni e frammenti di vita.
All’occhio meravigliato e inquieto del trasvolatore quelli che è possibile rilevare dall’alto non sono personaggi grandi o illustri di storie durevoli e compiute, ma per flash, brevi istanti preziosi ed essenziali, una folla di figure minime di cose uomini animali, particelle di un sistema in divenire, vicino e lontano insieme, capaci di comporsi e riscomporsi, un tourbillon di elementi molteplici e necessari dell’umile universo che ci è intorno.
Gli abitatori del globo, obbedienti ciascuno al proprio irripetibile DNA, si manifestano attraverso una serie di comportamenti individuali e di relazioni, mentre esternano la loro diversità e il loro destino. Eccoli, ospiti del mio hotel, dice amorosamente il poeta. Tutti dividono lo stesso spazio tra loro. La libertà di ciascuno è il perimetro limitato di quel pianeta al cui interno l’uomo crede di poter godere dei privilegi.
Ma la sopravvivenza del sistema è nella possibilità di esistere per ciascuno degli abitatori, cioè nell’equilibrio della vita comunitaria. Il venir meno del battito d’ali di una farfalla ha ripercussioni collettive. Ogni creatura è il seme e il fiore, l’attimo fuggente della vita. È questa la prima cosa che la poesia di Maria Pina la Marca vuole insegnarci: a sfuggire ad ogni sorta di individualismo, ad amare la vita, sotto qualunque forma e condizione essa si presenti.
Insomma, senza distinzione, tutti facciamo parte dello stesso zoo, la terra, come sconfinato parco naturale, dove come gli antichi dinosauri si appare e si scompare, effimeri e sostituibili, ognuno con le proprie emozioni, senza un futuro a lungo termine. Ognuno suona uno strumento particolare, talora discordante con il resto dell’orchestra.
È la metafora della società.
E il poeta? No, non è assente. No. Alle sue visioni, al balenio di oggetti e di creature che popolano il cosmo e il microcosmo, al loro vissuto lampeggiante, egli consapevolmente interviene, ne registra con commozione sottile forme di energia. Prorompono e si defilano intuizioni, divagazioni, associazioni mentali rapide e concise, sensazioni, stupori dell’anima, delusioni, dolori,…di donna e di poeta! Non è banale il suo raccontare, ogni gesto tecnico è quanto mai diretto ed efficace!
Alla maniera di Esopo o dei favolisti di qualunque altra epoca, che mettono in campo animali e altre creature magiche, Maria Pina insegue un senso morale aderente al tempo in cui viviamo.
Mobile nei sogni, visionaria lucida alla Dino Campana, il grande, l’immenso, insuperabile, folle marinaio del Viaggio e Montevideo. Non è che la nostra letteratura sia proprio ricca di maledetti e scrittori deraglianti alla Rimbaud. Ma è su quella scia di simbolisti che dobbiamo spostarci per capire e apprezzare queste ultime prove poetiche di Maria Pina la Marca.
Incalzante e spesso toccante costruttrice di incubi, dotata di fervida immaginazione.
Maria Pina procede in sorprendente equilibrio, come su un filo teso, lasciandoci senza fiato.
Non è tanto la geometria del canto oppure il cupo verso di tortora/su un allegro canto d’usignolo che ci colpisce. Più che il suono è il clic che sale in primo piano, il soggetto imprevedibile dell’inquadratura, la perspicacia dell’analogia e il brivido della sequenza in dissolvenza incrociata (Attraversa/con fare disinvolto/questo ragno/funivia fra i rami/lui è lì/proprio al centro/semaforo lampeggiante/spento)
È un mondo niente affatto idillico e rassicurante. Non per nulla è passato sulla scena della vita e della letteratura come ciclone sovvertitore il richiamo ungarettiano o montaliano, basilare sia per la dissoluzione della struttura del verso consueto sia per la realizzazione di un impasto linguistico-lessicale e contenutistico senza precedenti. Non per nulla poi gli impulsi delle Avanguardie e Post-avanguardie dell’ultimo Novecento hanno rilanciato un nuovo processo di trasformazione e adeguamento.
A ogni modo la creatività di Maria Pina è straripante. Animali, dai lineamenti piccoli o grandi, assumono stili di vita, movenze, slanci, cadenze, danze e figure che appaiono umane e reali. Le loro performance suscitano meraviglia e inquietudine. Maria Pina è come un cantastorie capace di trasformare il vissuto individuale in parabola universale. (…)
Insomma è poesia ricca, varia e complessa quella che stiamo analizzando e che ci porta a meditare non solo sulle infiltrazioni letterarie che per vie sotterranee sono arrivate al verso di Maria Pina la Marca, ma anche sulla sua raffigurazione-interpretazione del mondo e le urgenze “etiche” conseguenti. Tutto questo a lettura finita costituisce il sale e il pepe dell’intera silloge pubblicata.
Franco Cangelosi
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