2014
Questo libro offre un viaggio in trenta poesie, intensamente evocative, dedicate al padre e alla madre e si pone come testimonianza vera e sicura di un continuum affettivo mai interrotto. Un viaggio fisico e viscerale dentro la propria genesi, il proprio inizio.
Poesie che accarezzano i loro soggetti con una delicatezza rara e commossa e che segnano, col passo della lettura, la misura di una distanza a volte incolmabile, a volte annullata. Quando questo accade, tutti noi figli, sentiamo di poter parlare con chi è stato, oppure è ancora, nostro genitore, da profondità che non credevamo di possedere, regalandoci l’intima consapevolezza della possibilità di un dialogo che lo scorrere di nessun tempo lineare avrà mai la forza di interrompere.
In copertina: Vassily Kandinsky, Impressione III (concerto), 1911 (olio su tela, 77,5x100), rielaborazione grafica di Dario Pontrandolfo
Safarà Editore, Pordenone
Doveva essere “Per violino solo”.
Succede così: un giorno mi ero proprio svegliata con questo titolo in mente.
Già da un po’ mi frullava l’idea di un abbinamento tra la parola poetica e la musica: sorelle. Anche nei grandi autori i sentimenti espressi per i genitori sono un corpus a sé stante, rispetto al resto della loro produzione. E quindi ho pensato a un tributo, a un ringraziamento ai miei genitori per questo mio esserci, con l’arma che mi è più congeniale: la poesia.
Ho cercato un violinista… e mi sono imbattuta in un pianista: Maurizio Baldin. Ho seguito il fluire degli eventi, delle coincidenze e gli ho chiesto cosa dicevano alla sua sensibilità di musicista i miei versi. Gli ho dato da leggere la raccolta, prima della sua partenza per i concerti a Girona, in Spagna, con l’accordo di rivederci al suo ritorno.
Work in progress, così intitolava la sua mail raggiante, con la quale accettava l’invito. La scelta dei brani, condivisa, e la storia vista dal rovescio della medaglia, la racconta lui.
Le musiche scelte ed eseguite al pianoforte dal Maestro Maurizio Baldin sono di: C.P.E. Bach, F. Chopin, E. Grieg, J.S. Bach, R. Schumann, C. Debussy.
La vita è un viaggio, è un andare lontano ma anche un ritornare, è passaggio, è voglia di lasciarsi spingere e guidare dalla curiosità e dalle passioni, ma è anche desiderio di tornare, di riconciliarsi con sé stessi, di recuperare il proprio sé, l’intima radice, la propria identità, quella che neppure il grande Ulisse disdegnò, a scapito perfino dell’immortalità. E queste liriche di Maria Pina la Marca sono un viaggio dentro la propria genesi, nel riconoscimento degli affetti più profondi, il padre e la madre, che lei evoca e invoca per dare un senso a ciò che riteniamo più scontato.
Non il formalismo, infatti, o la convenzione appartengono al suo sentire, attratta invece da tutto ciò che non si vede, che è più intimo e nascosto, poco o per nulla plateale ma per questo autentico, da leggersi anche tra le pieghe più scontate di una quotidianità che la poetessa sa riscattare dal banale.
E allora la famiglia, il nido di pascoliana memoria, brulicante di sottili intimità, si colloca al centro del suo interesse in questo florilegio, come rifermento imprescindibile di una vita intesa nel suo aspetto più immediato, fisico, viscerale: padre e madre, dunque, la genesi, l’inizio, il viaggio.
È difficile riproporre un contatto silenzioso, parlare senza parole, piangere lacrime mute con l’intento di catturare immagini del passato un po’ sfuocate, languide, per definirne i contorni e magari scoprirne il senso.
“Vedono anche per te questi miei occhi chiari”, dice la poetessa, in un afflato di continuità, al padre “dal corpo bello” e dalle “mani d’armonia”.
“Sono nata dal tuo grembo fecondo, mater amabilis, mi hai partorita perché lottassi […] verso l’unicità del mio destino”. Mater amabilis, efficace e intraducibile espressione come quel bisogno del dialetto per descrivere le più recondite emozioni o il richiamo al greco karos, sonno, sangue, che vivacizza la memoria di affetti mal espressi. E allora senza motivo si piange, perché si è chiusa la porta del tempo lasciando dietro di sé affanni e sofferenze in cambio di ricordi “pendola inossidabile” che scandisce i vissuti destinati all’eternità.
Ma si può vivere nel ricordo? Una poesia così profondamente e intensamente evocativa di certo sopravvive al tempo e allo spazio, si fa essa stessa ricordo, ma lucido, pieno, consapevole, forte di riferimento talmente solidi che non temono la corruttibilità.
Le lacrime, di cui parla ricorrentemente in questi testi, si piangono non tanto per nostalgia quanto forse per occasioni sprecate di affetto, che si uniscono ai rimpianti e a un destino di amarezze… ma, a ben vedere, sono lacrime che riscattano il non detto e gli danno voce, finalmente. E allora quella reciproca “silente solitudine” si anima, libera la leggerezza di una vita, che si libra nel fruscio di un “ventaglio di bambù”, che si fa danza, si fa musica e riscalda un cuore melanconico, ora, forse, appagato d’amore.
Ho subito letto la raccolta delle poesie che ha dedicato a Suo padre e a Sua madre. Sono molto intense e commosse nella loro nettezza ed essenzialità: Ella sa dire in modo mirabile lo strazio della vita trascorsa insieme e della morte, ma ancor di più del dopo, della perdita, del distacco, della memoria addolorata e tenace.
È una testimonianza vera e sicura.
Giorgio Bàrberi Squarotti
Quando Maria Pina mi ha consegnato il frutto poetico delle sue riflessioni, chiedendomi di rintracciare quelle che fossero state, a mio parere, delle musiche appropriate sulle immagini che la sua raffinata penna aveva tracciato sulla carta, permettendomi di entrare nell’intimo della relazione con suo padre e sua madre, mi sono prontamente immedesimato in quelle che sono le mie emozioni nel ricordare i miei genitori, ambedue scomparsi ormai da anni.
La brevità dei componimenti e la loro intensa forza espressiva mi hanno suggerito l’individuazione di quelle musiche che hanno costituito la colonna sonora della mia infanzia ed in parte di quelle composizioni che trovo più aderenti alle suggestioni scaturite dalla lettura delle sue poesie, mantenendo questo rapporto di brevità e intensità.
Maurizio Baldin
VIAGGIO
Batte
con la stessa intensità
delle cicale
questo ventaglio di bambù
che muove l’aria
a ricordarmi
che nel nido si va
e si torna
con più leggerezza
NON VUOLE SMETTERE DI SCRIVERE
Non vuole smettere di scrivere
questa mia piccola mano
non vuole fermare
il contatto
silenzioso
con te
padre
che ora leggi
vergate in fretta
le mie parole d’amore
il tuo stesso
intenso sentire
E UN GIORNO TORNERÒ
E un giorno tornerò
e poi non so più quando
ma sempre nel cuore
un filo
mi legherà a te
e pensandoti ti sorriderò
mentre tu
mi sorridi sempre
AMATA MADRE
Guardiana
del tuo risposo
madre
che sarà lungo sarà corto
le ultime ore di vita
dici
ti spegni lenta
di bellezza che non sfiorisce
di pelle di velluto
in barba agli anni
sofferenze e malattie
non han fatto scempio
di te
amata madre
COMING HOME BY TRAIN
È un tempo
che non è tempo
una distanza infinita
tra il tuo essere
e il mio
una volta insieme
io rannicchiata
nel tuo prezioso involucro
tu portatrice
di vita intrauterina
E il tempo
l’abbiamo consumato
di non parole
questo doloroso non dirci
finché raccolgo il tuo
testamento
volevo dirti tante belle cose
ma non ho fatto in tempo
o forse solo
non ne eri capace
madre
così amata
MAMMA, NON LEGGI?
No
ho voglia di lasciarmi andare
lasciami guardare il lento scorrere
del tempo
perduto avuto contato
cullati dall'aritmia delle ruote
di questo treno
che non voleva saperne d'arrivare
e tu che non volevi saperne
d'accompagnarmi
quale prova migliore
Lasciami pensare a una vita
di così poca poesia
se non nei tuoi occhi
figlia
che da tanto tempo non vedevo
così belli
di una profondità che mi sgomenta
non c'ero abituata
di una intensità d'annegarci le spirali
d'amarezza di una vita non vissuta
rimpianta
Lasciami cantare il mio destino
così amaro
in direzione opposta alla tua
divisi da un treno
senti
fa le bizze come il mio cuore
l'altra notte quando ti ho svegliata
e non so cosa avrei fatto
per fermare la voce in gola
che ti chiamava
voce d'affetto ma voce di paura
con la vita che annegava
nei mulinelli impazziti del mio sangue
è stato lì in quel momento
che ho rinnegato mio marito
l'unica volta
togliendomi l'anello nuziale
è stato allora
quando ormai non sentivo più
il quarto e il quinto dito
della mano sinistra
Lasciami leggere figlia così amata
CUORE PRIMITIVO
(A MIO PADRE)
Non potevo scrivere
perché tu non volevi
dovevamo parlare
in italiano
perché il dialetto
non ti piaceva
«Per scrivere bene a scuola
dopo»
tu ci dicevi
E questo dialetto
così duro
senza il dolce delle vocali
lo tengo dentro
dentro al cuore
e quando lo sento
salto indietro nel tempo
è la voce di mia madre
è un filo sottile
dritto dritto
da dove sto
a dove sta il cuore
primitivo
Cominciamo subito il libro di cui farò più fatica a parlare. È stata una lettura che mi ha mosso molto, quindi faccio un po’ fatica ad esprimere quello che mi ha passato.
Il libro in questione è una raccolta di poesie, si intitola Per piano solo, di Maria Pina la Marca e viene venduto insieme a un CD nel quale sono registrate tracce audio di sonate per piano. Potere trovare all’interno brani di Bach, di Chopin, di Schumann, Debussy.
A me piace molto, mentre leggo, ascoltare musica classica, quindi è stata molto interessante questa lettura, anche perché a ogni poesia (o quasi) è stata abbinata una traccia e penso che questa cosa faccia vivere molto di più, in maniera più dirompente ciò che la poesia ha voluto dirci, o darci come emozione.
Sono poesie, si chiamano Raccolta di poesie per il padre e la madre e sono divise appunto in A mio padre e A mia madre.
Io ho preso tantissimi appunti. Non mi metterò qui a farvi la lezione su quella che è magari la figura retorica più usata o usata in maniera più magistrale rispetto alle altre. Ma voglio proprio parlarvi dell’emozione che questo libro mi ha regalato. Io non credevo che potesse smuovermi così tanto.
Se mi seguite da un po’, sapete che la mia situazione familiare non è stata delle più rosee. Mio padre c’è stato e non c’è stato, più non c’è stato che c’è stato. Se n’è andato via quando ero piccolissima, l’ho rivisto dopo quindici anni per un annetto, poi è venuto a mancare. E quindi mi sono trovata, leggendo questo libro, ad interrogarmi, a farmi una sort di psicanalisi, mettendomi lì proprio a pensare, frase per frase, quello chela scrittrice, la poetessa Maria Pina la Marca, aveva voluto dire a suo padre; quello che magari avrei voluto dirgli io, se erano le stesse cose, se erano diverse. Se, effettivamente, io a mio padre ho voluto veramente bene, quando invece dico che non è vero, che non mi interessava niente, perché mi ha abbandonata. Tutte cose che si dicono.
Quindi mi ha portata a interrogarmi tantissimo, soprattutto sulla figura paterna che non ho avuto, perché l’ho avuta poco. Ed è meglio averla poco ma bene, è meglio potersela godere da grande, anche solo per un piccolo lasso di tempo, oppure meglio averla da piccoli e poi non ricordarsi bene quello che tuo padre ha fatto?
Mi trovo veramente in difficoltà a parlarvi di questo libro. Posso solo dirvi che questa raccolta di poesie, questa perla, veramente mi ha aperto un mondo introspettivo che non credevo di avere. O che comunque nascondevo, come si fa con la polvere sotto il tappeto: non ci penso, la nascondiamo questa cosa e chi se ne frega!
Invece no, penso che faccia molto bene interrogarsi soprattutto sulle cose che ci fanno male, che ci hanno fatto male, e cercare di capire il perché, se sarebbe potuto andare diversamente, cosa -che la persona che ci ha fatto soffrire- in realtà voleva fare. Veramente il suo intento era farci soffrire?
Insomma mi ha mosso una marea di emozioni, una tempesta di cose pazzesche, quindi ringrazio veramente la Safarà Editore per avermelo inviato, perché mi è piaciuto tantissimo. Io lo consiglio, sia a coloro che hanno un bel rapporto con i propri genitori, sia a coloro che non ce l’hanno, perché vi porterà a farvi tante domande e ad apprezzare forse di più i momenti che avete avuto, quei pochi momenti fugaci che avete avuto con il vostro genitore che vi manca. Sia perché è venuto a mancare o. se c’è sempre stato, perché vi ha abbandonati per vari motivi.
Io veramente mi sento di consigliare questo libro a tutti, anche perché è molto accessibile, non è quella poesia ermetica che uno dice non capisco cosa vuol dire. So che molto sono sempre sul chi va là quando si parla di poesia. Qui non c’è bisogno di fare l’analisi del testo, l’analisi della metafora, l’allitterazione e tutte quelle figure retoriche che possiamo ricordarci. Qua c’è solo da vivere un’emozione e penso che poche cose come i libri possano aiutarci in questo senso.
Quindi veramente grazie, grazie, grazie e grazie!
Eleonora Forno
Alias Miss Tortellino, blogger
Serata indimenticabile. Sei riuscita ad accarezzare le corde più profonde dei sentimenti.
Sei stata vera, con le tue inquietudini, tipiche di chi è grande. E tu lo sei.
Paola Forniz
Dopo una presentazione a Villa Frova di Caneva
Riordinando i libri stamattina ho trovato il tuo Per piano solo.
Aprendo a caso, mi sono imbattuta in questa bellissima poesia: Mamma non leggi?
Queste sono le tue corde, la parola che cerca l’essenza oltre al visibile, la parola che si modella sui moti del cuore per dare loro forma e sostanza.
Sì, è il tuo talento, io non cercherei altro, se non per curiosità, ma senza giudicarmi, perché la strada è già segnata.
Fernanda Puccioni
Sì, proprio perché è un discorso autentico, la tua poesia scandaglia anche il nodo ineludibile dell’incomunicabilità o del conflitto, ma in un susseguirsi di versi d’amore. Amore sofferto, contraddittorio, recriminatorio, ma insieme struggente reciproca ricerca sulle vie del cuore.
Il pianista solo è la scrittrice fisica, ma le anime si inseguono e, oltre la morte purificatrice che ridimensiona i vissuti e concede uno sguardo nuovo sulle cose, ricompongono gli opposti e si riabbracciano.
E anche antecedente alla morte, è un atto d’amore in sé questa ricerca: “Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato…”
I versi per il padre affermano chiara la vita oltre la vita, l’unicità dell’esistere nel mondo e oltre il mondo, il parlarsi, sfiorarsi, dialogare, ritrovarsi per sempre.
I versi per la madre riscattano le ineluttabili distanze biografiche in un colloquio
Interiore carico di tensione al contatto d’affetto e d’amore. Anche qui non c’è reale separazione: lei vive in te e tu in lei. Intensamente.
Al di là di scaramucce e schermaglie -chissà quali antichi nodi karmici- non riesco a percepirle che intrise di cuore queste poesie, che mi parlano di profonda, inestinguibile unità.
Spero che altri colgano questa dimensione che conforta e in qualche modo sdrammatizza i contrasti biografici nel rapporto con i genitori. In genere ognuno tende a cogliere, in modo proiettivo, ciò che è nella sua esperienza. Comunque io mi sono sorpresa a leggere il tuo discorso nella sua accorata dolcezza.
Viviana Mattiussi
Il tempo se lo mangiavano gli occhi
Geografia dei luoghi amati
Per piano solo
La mia Fenice
Lettere — a te
mario momi — luigi molinis — maria pina la marca
L'aquilone terrestre
Il racconto mai scritto
Poesie d’amore per il terzo millennio
I poeti dell’Arca
Verrà l’inverno ancora
100 poesie d’amore
Funamboli del cuore
Incontri di poesia (1991)
Incontri di poesia (1987)
Maschere
Messaggi
© 2025 Maria Pina la Marca. Tutti i diritti riservati.
info@mariapinalamarca.it