1987
È una raccolta di 30 mie poesie, scelte—tra molte altre—, da Dino Pes di Roveredo in Piano. Il titolo fu una sua idea, perché “La parola è ambigua—diceva—come la maschera”. A suggello di questa sua idea trasformò i brevi versi in maschere in legno e disegni a loro corrispondenti.
Biblioteca civica di Montereale Valcellina
Comune di Sacile
Comune di Fontanafredda
Maschere (personae) nasce dagli incontri che facevamo io e Dino Pes, a casa sua, o meglio nel suo laboratorio-rifugio a Roveredo in Piano.
L’ex stalla, ristrutturata un pezzo alla volta, l’aveva fatta diventare il suo “nido”. L’interno era tutto perlinato come le case di montagna.
Di studi geometra, più qualche anno di Geologia all’Università. Poi la ricerca di un lavoro come geometra, che lo fa approdare in uno studio tecnico del paese. Dopo qualche anno, per una sorta di inquietudine interiore, interrompe il lavoro e si offre alla Coop come manovale.
Buono, idealista, aveva grandi capacità creative. Dipingeva, usava la china, faceva disegni, sculture e non disdegnava di scolpire anche la pietra. Non ha avuto il Pigmalione che gli avrebbe indicato la giusta strada.
Andavo spesso nel suo rifugio arrivando con la mia rombante Panda blu, e passavamo piacevoli ore (idealisti e schietti entrambi) a parlare un po’ di tutto: della vita, delle persone, delle mie poesie e dei suoi lavori in legno che mi piacevano molto. La grande stanza aveva comodi semplici divani, un vecchio grande tavolo di lavoro da lui stesso ristrutturato. Ricordo anche su un davanzale la fila di attrezzi da falegname, forse del padre.
Dino era un puro. Aveva una manualità eccezionale: per lui il legno era l’equivalente della carta e penna per me.
Una sera mi propose di abbinare alle mie poesie (tra le quali voleva scegliere quelle che sentiva più vicine alle sue corde) delle maschere e dei disegni a china, che avrebbero voluto rappresentarle: insomma dire le stesse cose con un altro linguaggio. Gli diedi carta bianca. Ne scelse trenta. Fui d’accordo e cominciò a lavorare.
Non cessarono i nostri incontri. Parlare con lui era come ritagliarsi uno spazio fuori dal tempo. Era parlare con qualcuno con l’assoluta certezza dell’assenza di giudizio, reciproca. Mi sono chiesta se ne ero innamorata. Era più grande di me di dieci anni. Un bell’uomo: occhi scuri scuri, capelli grigio neri, baffetti penduli che si sollevavano quando sorrideva, alto, magro. Ma forse no, nutrivo per lui un affetto fraterno.
Il titolo fu una sua idea. “La parola è ambigua – diceva- come le maschere”. E il lavoro procedeva, mentre ci ipotizzavamo cosa farne, finché fu finito.
Un giorno il nostro lavoro, non so come, fu scoperto da Aldo Colonnello, Rosanna Paroni Bertoia, Nilo Pes (non era parente), Anna Zava e Alice Burigana. Pensarono di farne un libretto, per una futura mostra itinerante nei tre comuni: Montereale, Sacile e Fontanafredda.
Il quaderno, formato A4, fu infine realizzato a cura del gruppo “SOT/SORA poesia”, di cui facevo parte.
E iniziò il viaggio che tanta affluenza vide e tanti commenti positivi, ben oltre le aspettative degli organizzatori.
Persona si chiamava la maschera con la quale gli attori nel teatro antico coprivano il volto: per nascondere la loro vera identità (così voleva la morale pubblica); per anticipare ciò che avrebbe detto o fatto il personaggio rappresentato; infine, per amplificare la voce in modo che le parole giungessero all’orecchio anche degli spettatori più lontani o distratti.
Maschera: dunque, personaggio.
Persona: dunque maschera?
Questa è la domanda che si insinua -tra segno e segno, tra verso e verso- nei materiali che compongono la mostra, di Dino Pes e Maria Pina la Marca, costruita appunto con maschere vere e proprie, con allusivi disegni di maschere, con poesie che al mascheramento tendono.
Maschere vere, volutamente tali, sono quelle in legno di Dino Pes. E dicono l’ansia o il desiderio, forse a volontà, o a volte la speranza, di cambiamento. Non tanto delle parti o dei ruoli, quanto piuttosto del reale e del sociale; dei suoi non più accettabili dislivelli; ed è un parlare controcorrente, in questo momento di trionfo retorico della professionalità, per la quale pare essere maschera che, dietro l’apparenza di una modernizzazione, per altro necessaria, ripropone, consolida e, comunque, legittima anche antiche o nuove, scandalose differenze. […]
Pur non essendo dal punto di vista figurativo maschere nostre, friulane -si tratta di maschere di tipo africano o con risonanze africane- le sentiamo familiari, come se fossero nate qui; forse perché, qui come là, la difficoltà di essere noi stessi è sostanzialmente identica. […]
Le maschere del teatro antico, greco e poi romano, coprivano tutta la testa ed avevano in corrispondenza della bocca una apertura che permetteva alla voce di risuonare. La parola latina persona viene dal verbo personare, cioè risuonare, chiaro e alto.
In questa mostra le maschere e le poesie non gridano, non alzano la voce. Ciò che dicono giunge all’orecchio come un’eco attraverso la quale ricostruire suoni e significati. […]
[…] poesia di Maria Pina la Marca, tutta tesa e concentrata nel cercare parole dense che dicano, del vivere, il volo trasparente e liberatorio di ansie e fors’anche di intime personalissime -e perciò non interamente, o non ancora, comunicabili- inquietudini. Un volo né consumato né esaurito; e che a volte pare coglia rimanere tale; ed infatti, appena incomincia a sciogliersi e a distendersi, subito una mano gelosa e timida ma ferma, lo trattiene. E le parole risultano movimento accennato che, quasi contemporaneamente, si ritrae e si nasconde. Maschere dunque, dietro le quali c’è sì la persona, ma si trova un po’ più in là, se non altrove. Di essa restano tracce di n camminare del quali si intuisce la direzione, ma che risulta impossibile — o impedito — ricalcare passo dopo passo; ma che non scoraggia, anzi stimola anche, la ricerca della persona che ognuno di noi è o potrà essere.
C’è messaggio di speranza nelle sculture, nei disegni e nelle poesie di Dino Pes e Maria Pina la Marca: dietro la maschera di questo ormai continuo e tetro carnevale uniformemente colorato, vivono persone.
Risuonano forse poco, perché non calcano o non ambiscono a calcare il palcoscenico del mondo. Ma ci sono.
Che siano esse la semente del futuro?
“La risposta, amico mio, è sospesa nel vento” (Bob Dylan)
Personae
Ho viaggiato a ritroso nel tempo
sulle ali d’un uccello impagliato
Questo corpo
stanco e insonnolito
è davvero
l’altoparlante
dell’anima
Una maschera
greca
addormentata
che non muove
nemmeno
la bocca
La voce
un sottile
filo di fumo
diventa
parole
dolcissime
pronunciate
in una strana
giornata estiva
vestita d’autunno
Fissa sospesa densa
partorita da un
comignolo
mi entra nei
polmoni
dai finestrini
chiusi
in un treno di
seconda mano
Sono il castagno
dei primi segni di resa
nei ricci caduti
La scia dell’uccello d’acciaio
è il filo della speranza
dall’iperbole strana
che si perde oltre il rosa
all’orizzonte
Giaccio mollemente
su una sedia
d’abete
malinconica
Il tempo se lo mangiavano gli occhi
Geografia dei luoghi amati
Per piano solo
La mia Fenice
Lettere — a te
mario momi — luigi molinis — maria pina la marca
L'aquilone terrestre
Il racconto mai scritto
Poesie d’amore per il terzo millennio
I poeti dell’Arca
Verrà l’inverno ancora
100 poesie d’amore
Funamboli del cuore
Incontri di poesia (1991)
Incontri di poesia (1987)
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