Torna alla pagina iniziale

Verrà l’inverno ancora

2003

Dopo Funamboli del cuore sono rimasta in contatto col prof. Giuseppe De Matteis (Ordinario di Letteratura italiana, a Pisa prima e poi a Pescara) che seguiva le mie produzioni. Abbiamo avuto scambi epistolari. Gli mandavo le mie poesie e lui mi inviava qualche suggerimento, lusinghieri commenti e mi incoraggiava a continuare la produzione e a pubblicare.

Mi ha indicato Bastogi come casa editrice a cui fare riferimento per Verrà l’inverno ancora.

Questa volta, libero dal ruolo di direttore della Collana come per il precedente libro, si offrì di farmi la prefazione.

In copertina: A. Giannelli, Bretagn, Audierne (part.), 1979, (100x90)

Bastogi Editrice Italiana, Foggia

88-8185-566-6

Copertina del libro Verrà l’inverno ancora

Dalla prefazione di Giuseppe De Matteis

La nuova raccolta poetica di Maria Pina la Marca è scandita in quattro tempi o sezioni liriche: IL DOLORE/LA MORTE, L’AMORE, LA MEMORIA e L’AMICIZIA, momenti essenziali dell’itinerario artistico di questa sensibile interprete del nostro Sud, temprata ormai, da parecchi anni, alle abitudini e al modo di vivere e di pensare della gente del Nord; la sensibilità, però, l’amore per la propria terra e la propria gente, i colori e gli affetti, tutto, insomma, il suo mondo più intimo e più autentico, richiamano il modus vivendi del nostro popolo, con i suoi crucci e le sue ambasce, le ansie e le pene, le gioie e i dolori che accompagnano da sempre la nostra esistenza.

La poesia di Maria Pina la Marca, che ha dentro di sé una vita di poesia e una cultura ormai matura, è il risultato di un esercizio tecnico-stilistico di buona fattura e nasce, a mio avviso, da un difficile tormento di ricerca di sintetici stupori, quasi nella gioia di un'amarezza rappresa, in fondo alla quale v'è qualcosa come una scoperta metafisica, che è l'immagine stessa sostanziata di essere e di simbolo. […]

Il suo registro poetico, intanto, si allarga, toccando le varie corde del tema amoroso, croce e delizia di un’esperienza di vita piuttosto travagliata, affannosa, piena di dubbi e incertezze, per farsi via via più attento e sollecito ai problemi dell’uomo d’oggi, attanagliato com’è dalle angoscianti strutture sociali, dalla solitudine, dal bisogno di colloquio, dall’ansia di paesaggi che si dissolvono intorno, dall’ostinata volontà di odio e di guerra presenti un po’ in tutti gli angoli della Terra, dal vuoto di fede e di speranza.

I vari temi si connotano della semplice trasparenza del discorso poetico, in cui la parola, piuttosto che farsi unagarettianamente scabra, essenziale, sofferto scavo interiore, sembra levarsi disarmata nella sua colloquiale naturalezza, sembra cioè farsi immagine essa stessa di una possibile innocenza contro gli elementi laceranti e i tortuosi intrighi delle fluttuanti e disgreganti passioni. […]

In questa disposizione interiore, di limpido e chiaro linguaggio, i momenti poeticamente densi ci sembrano quelli in cui l’Autrice attraversa, sul filo della memoria e del rimpianto, zone di calda intimità. In questa direzione io credo che ella maturi la tematica di fondo di questa sua raccolta, ovverosia la sua espressione poetica più avvertita, come se ritrovasse, nella immagine cos’ vivamente presente e pregnante della sua terra e dei suoi luoghi d’origine, la sua identità umana, la reale misura del suo soffrire, la sua voce più pura e più vera: […] o, anche, questo accorato rimpianto per i suoi cari lontani, che comunque le danno la certezza di non aver perduto le proprie radici, la propria identità. […]

La fatica poetica della la Marca è proprio nell’ultima sezione di questo libro (L’AMICIZIA), quando cioè l’Autrice cerca una nuova convergenza tra poesia e pubblico dei lettori, quasi a difesa di un sempre più incalzante flusso di ricordi riferiti alla sua infanzia e al suo mondo giovanile. […]

In questa raccolta mi pare si possa anche indicare una convergenza di temi e motivi che assicurano l’unità di tono dell’intero percorso poetico dell’Autrice. La sua Weltanschauung non va confusa con una evocazione immobile di tipo sostanzialmente regressivo: ella sa far confluire i vari temi trattati verso un nucleo centrale, conferendo ai contenuti un’energia di mito. […]

Un discorso poetico chiaro, lineare, incisivo, rivelatore di una ricchezza interiore e di una umanità che si connotano di una loro dignità.

Ciò che più mi lascia sorpreso e conquiso della sincerità di questa Autrice è quel continuo suo altalenare tra visioni del presente e tormentose attese del futuro che scaturiscono quasi sempre da nitide evocazioni di un passato con cui bisogna continuamente fare i conti. […]

Ciò che interessa di più (e mi pare sia questo il risultato migliore raggiunto dalla la Marca) è che pensieri e immagini si fondono armoniosamente nel momento stesso in cui si concretizzano in versi. Quando il fiume dei ricordi fluisce placidamente dalla mente al cuore della poetessa, allora l’atmosfera serenatrice che si crea fa accettare anche la storia di quanto si è perduto ineluttabilmente.

In questo saggio equilibrio sta, io credo, la nota più viva e toccante dell’ispirazione poetica di Maria Pina la Marca.

IL DOLORE/LA MORTE

In punta di piedi

Sei scivolato / in unta di piedi / e hai deposto le armi / della resistenza / della voglia di vivere / che non c’era più / hai lasciato / che la tua anima / uscisse piano / nei respiri sempre più lenti / ogni tanto l’affanno / di una fitta / morfina inefficace / e sei passato / al di là / della linea di confine / dove credevi ci fosse / l’indescrivibile nulla / /


Ti regalo / il mio sorriso / triste / /

La luce dei tuoi passi

C’ero / all’ultima curva / al passaggio delle tue spoglie / e in silenzio ti ho salutato / con un piccolo cenno delle labbra / ti saluto / breve raggio di sole / ho camminato sulle impronte / che la luce dei tuoi passi / tracciava / /

La Valigia

Sono usciti i fantasmi / che spengono / il mio sorriso / e ballano nelle notti / insonni / e fanno girare / la mia anima / come trottola impaurita / /


Li metto alla rinfusa / in una vecchia valigia / floreale / ora so che devo portarli / sempre con me / /

La morte è un fagotto

La morte è un fagotto / di bambin slavi / composti nella loro / rigida divisa bianca / stelle di cielo cadenti / nel mare di infinite / presenze distratte / /

Ti voglio raccontare figlio

Ti voglio raccontare figlio

delle notti lunghe com’è lungo il giorno

nella terra dove il sole non tramonta

se non dopo lunghi mesi sempre uguali sempre uguali

e dei giorni estenuanti come le notti implacabili

di luna piena astro magnetico e fagocitante

che porta al pozzo della nostra più profonda identità

quando uscivo senza pelle a ululare inarticolati suoni

del dolore che mi spaccava come un’antica tortura

e sulla pelle senza pelle il sale

rancido della scoperta


Ti voglio raccontare figlio

che ho sposato

il tuo destino di ideali infranti

così nel cuore della giovinezza

dolce Eurialo sacrificato al Niso bifronte

ara del tuo Assoluto


Ti voglio raccontare figlio

che sei stato mio due volte

dolce groviglio nel liquido amniotico e adesso

che ti porto ancora più ancora della mia pelle

e sangue nervi muscoli ossa fegato cuore

non ho più cuore non ho più cuore se non nei ricordi

porta chiusa sull’Infinito spazio dove eravamo felici


Ti voglio raccontare figlio

che ti porto come una cisti che non cresce

e non si può operare

come un fardello dolce-amaro

che curva la mia schiena di madre

come la morte che spegne un sorriso sul più bello


Ti voglio raccontare figlio

nei miei occhi la tua notte

L‘AMORE

Non so il colore dei tuoi occhi

La luce dei tuoi occhi attiva

memorie di solchi e di sorrisi

e piega

la pagina delle lacrime

e dell’assenza

perché è ricco l’humus dei sogni

e del ricordo

Glicula

Non si può amare

con fissità

per sempre

oggi scopro

dietro ogni porta

chiusa

la carne viva

della ma anima

ingenua e lucente

non so

il colore

dei tuoi occhi

Lasciala suonare

Pollicino ha ritrovato

le sue pietre

e la strada dove inciampava distratto

così distante dalle tue preghiere

in lotta contro i mulini a vento

della sua anima pavida

che ingarbugliava i fili

d’un’esistenza al margine


Non so se sono cadute

dalla bocca di ingordo gabbiano

o le ha smerigliate il vento

il maestrale degli anni

che spettinava anche la tua anima

nuda e libera


Ho raccolto questi sassi

ormai uova di pernice

e li ho posati in terra

seduta in un angolo

intreccio note con la mia ghironda

tu lasciala suonare

Mi addormento

Mi addormento

nel nome

del tuo nome

Il volo effimero

In un registro

di tempo diverso

mi sposti

dal ciclico rotondo

al piatto lineare senza fine

ritorna lo stupore antico

della terra piatta

fin dove arriva lo sguardo

alle due estremità

il volo effimero

Ti canto

Ti canto

dei gatti in calore

la meraviglia

e di me

che non so più amare

Un bacio

Sono arrivata alla fine

dell’arcobaleno

dove le piogge non bagnano

che anime distratte

ho fatto il giro

del tuo tempo

e vagabondato nel tuo spazio

altalena per amanti sbadati

oltre le convenzioni

che infatti non chiedevi


Non ti chiedo

che il sapore

di un bacio

Ogni volta

M’impressiono

ogni volta che ti guardo

con occhi estranei

la mia anima

di giocoliere d’argento

si rannicchia perplessa

sulla terraferma

da lì

guardo scorrere

il tuo fiume

la tua porta

aperta sull’anima

dalle infinite possibilità

si è richiusa

travolta nei mulinelli

di un nuovo sentimento

e si difende con la favola

del soldatino di latta

dall’arzigogolare freddo

degli ingranaggi

ha inghiottito

la tua parte d’arcobaleno

e nel ruotare di quinta

senza più poesia

mostra ormai

la dura corazza


M’impressiono

ogni volta

che non so

LA MEMORIA

Incontrollata vertigine

Il passato

qui scava con forza

come tèrmiti all’incontrario

ed affiora

nelle chiazze rosse della pelle

incontrollata vertigine

Per te madre

È pallido

questo sole che si leva

dietro la cresta del monte Calvo

e apre lo scenario

fra nuvole compatte

dei nostri giorni di pioggia


Toccano le tue lacrime

e scavano una trincea

nel territorio di difesa

dove sono annodati

i miei sentimenti per te

madre

Fantasmi

Non so

da dove venivano

le parole

e pioggia disagio frantumare

nella notte silenziosa

i fantasmi d’un passato

che non ha lasciato

né il tempo né lo spazio

della mia memoria

e ogni giorno

faccio a meno

di questa inutile zavorra

ma quando il teatro riapre

i personaggi sono tutti lì

Mi sono ritrovata

Ieri il tempo

si è fatto beffe

delle mie paure

dell’essere Altrove

renitente allo specchio

del presente

nella sola culla

della carta scritta

antica nenia


Ieri il tempo

scorreva come sabbia

nelle mani a conca

nella pienezza del respiro

che mi ancorava al vostro

affetto quotidiano

così caldo

così sicuro


Canto delle emozioni


Canto delle emozioni

il solitario tormento

nella ripetizione sempre uguale

con lacrime di carta

l’unica lingua conosciuta

non uso del femminile

la morbidezza

ma del maschile

la secca essenzialità

come bagliori di scudo

di bronzo

lampi di asciutte

controllate emozioni

L‘AMICIZIA

Verrà l‘inverno ancora

Danza

sul tuo cuore ferito

accartocciata foglia di pioppo

bianco

che suona solo nel vento

la pioggia delle foglie

colorate d’autunno


Non posso dirti

il caldo di questi gialli

e ocra ruggine terra

e terra di mille colori

forse sol odi mille antiche

sfumature


Ti regalo

la fila ordinata

di rondini come pece

mero desiderio

per l’utopia della tua pace


E dopo l’autunno

verrà l’inverno ancora

Ginestra profumata

Ginestra profumata

di grappoli odorosi

e gradazioni di colori

percossa dal fremito sottile del vento

nelle calde giornate di maggio

arbusto flessuoso

resistente alle intemperie

si nutre dei caldi raggi del sole

a sud dei miei pensieri

Non respiro le parole

Non respiro le parole

che dici di vetro

smeriglia la tua anima

La mia vagabonda

si perde e si dissolve

nelle chimere dei tuoi occhi

abiti di forte femminilità


L’allodola vola muta

col suo messaggio d’amore

fiammante

A Eugenio Allegri

Gabbiano

dal naso storto

hai piume di uccello

navigato

grigio implume viaggiatore

e apri le ali sulla tessera

della tua timidezza

e plani nell’azzurro

dell’aria di cielo frizzante

Dipingi il fiore

Dipingi il fiore

dei tuoi anni

nell’azzurro di promesse

impalpabili concrezioni

di un desiderio

da dividere

oltre i luoghi comuni

dove gli incontri

sono reali alchimie

oltre il tempo

che c’è

Commenti

Non è facile parlare del suo libro, dopo il saggio così serio che le ha dedicato il collega De Matteis.

Il suo libro, come anche si deduce dalla divisione in sezioni, aspira a una totalità che è icona dell’esistenza, con i suoi momenti forti e con le occasioni più lievi. Nel tutto che l’autrice offre, ogni lettore compie le proprie scelte. Le mie vanno ai momenti più intensi, in cui certamente saprà dare altre persuasive prove. Vorrei riempirmi di musica, Ti porto con me, Un lungo silenzio, Terra sui tuoi occhi, Ti voglio raccontare figlio (forse il capolavoro) sono fra i testi che preferisco. (…)

Emerico Giachery

Ho letto la sua raccolta di versi con molto interesse. La Sua scrittura poetica è limpida, luminosa, persuasivamente lirica e, al tempo stesso, riflessiva. La sezione La morte – Il dolore mi sembra più decisamente coerente, sicura, profonda.

Giorgio Bàrberi Squarotti

© 2025 Maria Pina la Marca. Tutti i diritti riservati.

info@mariapinalamarca.it